Parla Cosimo De Sortis, presidente di Italmopa, l’associazione che raggruppa le aziende che lavorano grano tenero e grano duro. «Per avere pasta a scaffale nei supermercati tutto l’anno, dobbiamo necessariamente importare. Se utilizzassimo solo la produzione italiana, troveremmo la pasta in vendita solo quattro mesi all’anno»
di Enza Moscaritolo
Conferme delle performance, lievi frenate e nuovi trend in crescita. È questo, in sostanza, il bilancio emerso nel corso dell’Assemblea Generale di Italmopa, l’Associazione Industriali Mugnai d’Italia (Federalimentare – Confindustria) che si è tenuta a Roma. Secondo i dati relativi al 2018 forniti dall’associazione che rappresenta l’80% delle industrie di settore in Italia, nelle due articolazioni di molini a grano duro e molini a grano tenero, associando realtà di piccola e piccolissima dimensione ma anche la grande industria, il volume dei prodotti del settore molitorio, tra farine, semole e sottoprodotti della macinazione, ha superato gli 11 milioni di tonnellate, restando stabile (-0,1%) rispetto al 2017, con un fatturato di 3,539 miliardi di euro (+2,1% sul 2017). Di questi, 1,667 miliardi (-0,4 %) relativi al comparto della trasformazione del frumento duro e 1,872 miliardi di euro (+4,4%) al comparto della trasformazione del frumento tenero.
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Italmopa registra una sostanziale stabilità dei volumi nel comparto delle farine di frumento tenero: la leggera contrazione (-1,8%) viene compensata dalla maggiore domanda per le farine destinate alla produzione di sostituti del pane come crackers, taralli, friselle, grissini (+3,8%), pizza e prodotti salati da forno (+ 1,6%) e biscotti, prodotti da forno e pasticceria (+ 2,6%); per le semole di frumento duro il mercato riporta una flessione riconducibile a una frenata della domanda dell’Industria pastaria (- 0,9%). Cresce, invece, il consumo di semola per la produzione di pane (+ 1,1 %) e per usi domestici (+ 1,4% ).
«L’industria molitoria italiana è un leader riconosciuto. Il nostro è un primato di cui siamo orgogliosi, anche se, nella competizione, si sa, nulla è permanente – dichiara il presidente di Italmopa, Cosimo De Sortis, succeduto a Ivano Vacondio eletto alla presidenza di Federalimentare per il quadriennio 2019-2022 – il nostro è un modello d’impresa competitivo, ma questo primato va difeso ed è per questo che auspico che l’ambiente esterno in cui operano le nostre imprese diventi più “ospitale”. Rispetto ad altri paesi europei sopportiamo strutture dei “costi Paese” più “pesanti”. Penso ai costi per l’energia, alla lentezza della giustizia, al costo del lavoro. Alla luce di queste considerazioni, le performance dell’industria molitoria italiana sono doppiamente straordinarie. Occorre che le buone intenzioni dichiarate ai tavoli di filiera avviati dal Mipaaft producano una vera e propria proposta di politica industriale per il comparto».
Cresce anche il trend “salutistico”. Nel 2018, infatti, si è verificato un incremento dei consumi di prodotti alimentari provenienti dall’utilizzo di questo tipo di farine e semole, che ha riguardato soprattutto la farina integrale e la farina ottenuta da produzioni biologiche, ambedue con tassi di crescita superiore al 10% rispetto al 2017.
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Previsioni in calo per la produzione mondiale
Questo dunque il quadro nazionale. Se si amplia lo sguardo allo scenario internazionale, si prevedono stime in calo, in particolare per quanto concerne la produzione mondiale di grano duro. È il dato emerso dai recenti Durum Days di Foggia. Il 2019 si attesterà su una contrazione complessiva del 9%, con cali produttivi del 32% negli Usa, 27% in Nord Africa, 11% in Canada e 10% in Europa. Questi i dati diffusi nelle previsioni per la campagna commerciale 2019-2020, elaborate della società di ricerca Areté.
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In Europa i cali di superfici, uniti a quelli degli stock iniziali porteranno a un rialzo delle importazioni che per la campagna entrante sono previste in rialzo del 71%. Per quanto riguarda le previsioni produttive italiane, il Crea stima un calo di superfici del 6,5%, che porterà ad una superficie impiegata a grano duro di 1,2 milioni di ettari, con conseguenti cali produttivi dettati anche dalle condizioni atmosferiche e dalle escursioni termiche.
Dall’analisi Crea emerge, inoltre, l’incremento delle superfici investite a grano duro biologico nonché quelle dei contratti di filiera. Il Crea registra inoltre un calo dell’impiego di semente certificata pari al 12% rispetto al 2018.
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La produzione italiana non basta
L’Italia, secondo le parole di De Sortis, è un importatore “strutturale”. Vale a dire che non può farne a meno, sia per il comparto del grano duro che del grano tenero. «Abbiamo un fabbisogno di importazione che si attesta intorno al 55% (grano duro) che arriva dal Nord America, Australia, Francia, Spagna, Grecia – riferisce – e al 40% (grano tenero) che importiamo prevalentemente dalla Francia, primo produttore europeo, ma anche Austria, Germania, Ungheria e Stati Uniti. Per avere pasta a scaffale nei supermercati tutto l’anno, dobbiamo necessariamente importare. Se utilizzassimo solo la produzione italiana, troveremmo la pasta in vendita solo quattro mesi all’anno».
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Qualità e sicurezza sono garantite dai controlli
Sulla questione, De Sortis sottolinea come l’associazione si stia concentrando nel portare avanti la battaglia della corretta informazione. «Come categoria – dice il presidente di Italmopa – siamo spesso attaccati sul ricorso alle importazioni. Quando si fa allarmismo su tematiche strumentali che mettono in discussione gli aspetti di sicurezza alimentare di alcune materie prime, e nello specifico, del grano, si affermano gravi inesattezze che penalizzano da un lato le aziende che operano nella massima trasparenza e sicurezza alimentare e, dall’altro, i consumatori che, sebbene dispongano di una maggiore quantità di informazioni grazie alla norma sull’etichettatura, sono più facilmente disorientabili con conseguenze sulle scelte di consumo. Le materie prime d’importazione sono molto controllate: nel nostro Paese, infatti, esistono numerosissimi livelli di controllo e relative autorità a ciò deputate, per cui il consumatore italiano di pane, pizza e pasta può dormire sonni tranquilli».
Il nodo dello stoccaggio
Tuttavia permangono ancora problemi strutturali. Su tutti, quello delle strutture di stoccaggio. «Se vogliamo puntare a valorizzare il grano italiano, è indispensabile disporre di idonei impianti per lo stoccaggio differenziato, dove immagazzinare e separare le partite di grano aventi caratteristiche qualitative omogenee» osserva De Sortis.
«Purtroppo se guardassimo solo ai fornitori di materia prima nazionale incontreremmo qualche difficoltà a garantire continuità negli approvvigionamenti, diventa pertanto essenziale, anche per motivi di disponibilità, la coesistenza di forniture nazionali ed estere per consentire all’industria di mantenere adeguati livelli di magazzino materie prime e non restare esposta a problemi di “liquidità” del mercato innescati dal fattore prezzo. Un lavoro “silenzioso” e “complesso” ma sconosciuto al consumatore finale».
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