di Luca Bergamin
La strada che conduce al vigneto di Giovanni Benvenuto, giovane uomo di pazientissima tenacia, adesso si chiama Via dello Zibibbo in onore del vino prodotto nella sua cantina. Il podere si estende per poche centinaia di metri, ma è stato molto lungo il percorso che ha portato questo 36enne dal sorriso dolce come i grappoli che cura a resuscitare la produzione di un’uva che mezzo secolo fa, quando i filari appartenevano a suo nonno Iconio, era tipica della Calabria. E tante sono state le insidie incontrate in una provincia come quella di Vibo Valentia dove la presenza e potenza delle ‘ndrine è forte e ramificata.
«Vivere e fare gli imprenditori in questa terra – premette Benvenuto – non è per nulla facile: bisogna prestare attenzione a tantissime variabili, essere molto accorti sul modo di porsi e soprattutto sugli spazi in cui ti muovi e i settori che vai a toccare e questo alla lunga può essere stancante e togliere energia, respiro, fiducia. Sono state anche queste difficoltà, insieme alla mancanza di lavoro, a spingere mio padre a lasciare Pizzo Calabro negli anni ’60 e a raggiungere l’Abruzzo, dove ha conosciuto mia madre e sono nato io».
I racconti del padre
Benvenuto trascorre l’infanzia a Tagliacozzo, un borgo vicino all’Aquila, e poi all’età di diciotto anni decide clamorosamente e contro il parere della madre, di tornare a Francavilla Angitola nei poderi dei nonni. «La colpa, si fa per dire, è stata di mio padre che non ha mai smesso, anche se ne era andato scottato e deluso, di decantarmi la bellezza di un paesaggio che vede alle nostre spalle il Parco Naturale Regionale delle Serre, gli Appennini Calabresi, a sinistra il Lago Angitola, di fronte la splendida Costa degli Dei, e accanto l’Altopiano del Monte Poro. Ero così affascinato dai suoi racconti sui luoghi, le culture arbëreshë degli albanesi d’Italia, ortodosse, occitane che, terminata la scuola, sono scappato qui e ho deciso di recuperare le viti ormai abbandonate di mio nonno, quasi dieci ettari di terreno. Qui, adesso, produco 35 mila bottiglie all’anno».
Giovanni, quando arriva in Calabria, è uno studente universitario al primo anno della facoltà di Agraria. Sui terreni di famiglia non possiede un magazzino per gli attrezzi e il trattore, si arrangia come può e in paese viene subito etichettato come il forestiero, il pazzo che si è auto esiliato e spera nel miracolo di riportare in vita quella tradizione vinicola dello zibibbo che per incuria ed emigrazione della forza lavoro è andata perduta.
Fenici e greci
«Questo vino – prosegue l’imprenditore – era coltivato su questa terra dal tempo dei fenici e degli antichi greci; i monaci brasiliani avevano impiantato vigne fiorenti, perciò sapevo che le condizioni erano ideali. Vinta la reticenza dei contadini locali, sono andato a chiedere agli anziani come si produceva questa uva, ho dovuto attendere un po’ per avere i permessi necessari dalla Regione Calabria a poter vinificare col riconoscimento igp, il primo per lo zibibbo». Certo, i problemi ci sono e non sono soltanto quelli legati ai terreni e alle produzioni. Benvenuto ne è consapevole: «L’ndrangheta? Qui c’è, inutile negarlo, tarpa le ali allo sviluppo del territorio, spinge i giovani a partire, ma io cerco di non abbattermi quando constato che fare squadra è impossibile, l’individualismo e la presupponenza prevalgono. Quello che mi consola, però, è sapere che posso costituire un modello per i giovani. Tanto è vero che sono nate nei dintorni altre aziende di vino zibibbo».
Le soddisfazioni
Le soddisfazioni per Giovanni Benvenuto sono in realtà tante: i suoi vini, dai nomi tutti improntati alla positività, come l’Orange Benvenuto, il Passito Alchimia, il Bianco Mare, il Rosso Terra e il Rosato Cielo sono esportati negli Stati Uniti, Canada, Francia, Regno Unito, Germania, persino in Kirghizistan, oltre che in Polonia e Germania per il 70 per cento della produzione. «La gioia più grande – conclude – è riuscire a farcela qui, davanti a questo mare, illuminati da una luce dorata, vivendo di questa terra granitica, generosa perché solo così, resistendo e lavorando, possiamo cogliere i frutti più buoni della Calabria».
(Da “Buone Notizie” – pag. 45 inserto del “Corriere della Sera” del 2 gennaio 2020)
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