di ✠ Vincenzo Bertolone*
«La Questione Meridionale è tutta la questione italiana. Se la piaga della degradazione non si chiude, la cancrena che potrebbe seguirne non minaccerebbe solo la distruzione della parte malata ma l’intero organismo nazionale». L’Italia farebbe bene a ricordare le parole dello scrittore calabrese Leonida Rèpaci.
Riflessioni su tempi lontani, che tuttavia ripropongono con efficacia la loro attualità nell’incerto presente in cui il Paese ragiona – forse già in ritardo – su come ripartire dopo l’ondata pandemica che ha sconvolto stili di vita e modelli di sviluppo, aggravando antiche povertà e sfornandone di nuove. Non c’è dubbio che il secolare ritardo economico e sociale del Mezzogiorno rischi di trasformarsi, dopo il lockdown, in valanga capace di travolgere la Nazione. Non si pensi solo agli storici elementi di arretratezza: si tenga conto che, fatto mai accaduto prima, ora ad essere stato spazzato via è stato anche il sommerso, quel mondo grigio in cui trovava linfa la sopravvivenza di ampi strati di popolazione. Un vero e proprio disastro che può avere pesantissime conseguenze per territori già fragili.
Queste considerazioni dovrebbero trovare il giusto peso nelle scelte che saranno fatte nelle settimane a venire. In generale, sin qui, sembra predominare la preoccupazione delle tutele da assicurare a Regioni pure effettivamente più colpite dal Sars Cov 2 e da sempre ritenute locomotiva dello sviluppo. Non v’è dubbio che debba essere così. Eppure sconcerta verificare come attenzione almeno pari non venga riservata ad altre aree del Paese, dove pure il capitale umano ed il treno sociale non possono rimanere fermi ai giorni in cui – ed era il 1874 – Giustino Fortunato scriveva: «Qui occorre produrre di più, consumare meno, risparmiare molto».
Oggi come allora, gli obiettivi da perseguire – unitamente alla basilare lotta per il ripristino della legalità restano due: basso costo del denaro, che solo è capace di dare stimolo al lavoro, e investimenti nelle imprese private. Negli ultimi anni, il tessuto produttivo è stato segnato da una profonda crisi. Il Pil – tra il 2008 e il 2018 – è diminuito, in termini reali, del 3,4%; nel Meridione del 7,3%. Un contesto, dunque, di estrema difficoltà: se si vuole evitare una catastrofe, che oltre ad aumentare il divario tra le due aree del Paese appesantirebbe le opportunità di ripartenza dell’intera Italia, bisogna anzitutto riscrivere un patto nuovo tra padri e figli per uno sviluppo sostenibile per tutti; poi garantire una svolta di qualità politico-amministrativa in termini di eticità e trasparente meritocrazia, che rifuggendo dalla demagogia dell’antipolitica e – contestualmente – dalla logica del posto facile (e fisso), crea i presupposti di una maggiore occupazione, stabile e produttiva, l’unica che può favorire uno sviluppo autopropulsivo, nella consapevolezza gramsciana che «il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali».
*presidente della Conferenza Episcopale Calabra
– Fonte
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