Intervista al ministro per il Sud e la Coesione Territoriale alla vigilia dei (probabili) Stati Generali voluti dal primo ministro Giuseppe Conte: «L’obiettivo è recuperare un ritardo delle istituzioni, prima di tutto culturale, nell’impostazione delle politiche pubbliche. Il Terzo settore è un attore essenziale per lo sviluppo e la coesione. Perché una società civile forte, organizzata, attiva, genera fiducia e aiuta a sviluppare un’economia solida, con robusti argini contro l’erosione dei diritti e le infiltrazioni criminali»
Il decreto Rilancio prevede la concessione di contributi a fondo perduto – 120 milioni di euro complessivi a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione – “in favore degli enti operanti nel Terzo Settore nelle regioni del Mezzogiorno, allo scopo di fronteggiare l’emergenza Covid-19”. Si tratta di un provvedimento che dà un segnale culturale importante: il Terzo settore esce dalla “gabbia” del Welfare ed entra nel perimetro come strumento di sviluppo. Un cambio di passo che porta la firma di Peppe Provenzano, ministro per il Sud, ma anche per la Coesione Territoriale, che intervistiamo alla vigilia degli Stati Generali che il primo ministro Giuseppe Conte vorrebbe inaugurare venerdì.
Come è maturata questa iniziativa: con quali obiettivi e aspettative?
L’obiettivo è recuperare un ritardo delle istituzioni, prima di tutto culturale, nell’impostazione delle politiche pubbliche. Il Terzo settore è un attore essenziale per lo sviluppo e la coesione. Perché una società civile forte, organizzata, attiva, genera fiducia e aiuta a sviluppare un’economia solida, con robusti argini contro l’erosione dei diritti e le infiltrazioni criminali. L’iniziativa è nata dagli incontri virtuali, con associazioni che mi raccontavano le difficoltà nei quartieri durante la pandemia. Da un appello alle istituzioni della rete di esperienze sorte in questi anni attorno alla Fondazione con il Sud. Realtà che hanno aiutato le istituzioni a fronteggiare la crisi ma nello stesso tempo hanno pagato un prezzo. Il Terzo settore è un valore in sé e va aiutato, soprattutto nel Mezzogiorno in cui è più fragile e meno in grado di intercettare finanziamenti privati. Io sono convinto di questo valore e ho voluto dare un segnale. Del resto, il Piano Sud 2030, che abbiamo presentato poco prima che scoppiasse la pandemia, è nato anche dal lavoro di ascolto e di confronto non solo con le istituzioni, con i Comuni in particolare, ma anche con le associazioni, con le reti di cittadinanza attiva, con il Terzo settore, appunto.
C’è un’esperienza modello che in qualche modo l’ha ispirata?
Dalla Sicilia, sono andato a Pisa per l’Università, ho toccato con mano cosa vuol dire avere un tessuto civile robusto. Durante i primi incontri istituzionali, a Palermo e a Napoli, ho sempre voluto incontrare chi sta in prima fila per combattere marginalità e generare innovazione sociale. È un modo per non perdere il contatto con la materialità delle cose di cui parliamo, quando parliamo di giustizia sociale. Le politiche pubbliche possono e devono fare di più per perseguirla, questo è il mio impegno. Ma ho la consapevolezza che da sole non bastano, hanno bisogno di costruire “alleanze”. Per riconquistare credibilità e fiducia, abbiamo bisogno che la comunità diventi protagonista. La politica di coesione è anche questo, ricucire i legami con la società che si organizza e si mette in rete per far funzionare le cose. Per questo è indispensabile costruire interlocuzioni stabili con i soggetti che sono stabilmente prossimi alla comunità più debole, e che non devono soltanto beneficiare di programmi e interventi, ma devono aiutarci a progettarli. Ci sono esperienze importanti, in questo senso, a livello territoriale, dalla Strategia per le aree interne al Pon Città Metropolitane dei fondi europei, buone pratiche di inclusione e innovazione sociale che devono plasmare le politiche ordinarie.
L’unico “difetto” della misura, a detta del presidente di Fondazione con il Sud Carlo Borgomeo, è la sua capienza: 120 milioni per tutto paiono un po’ pochi per tutto il Mezzogiorno. Ritiene di coinvolgere le Regioni: ha avuto qualche impegno in questo senso da parte loro?
È importante, credo, quello che lo stesso Borgomeo ha riconosciuto: questa iniziativa rappresenta un cambio di paradigma. Costruire il rilancio, in questo momento drammatico della nostra storia, vuol dire tenere insieme coesione sociale e sviluppo. Per troppi anni in Italia l’abbiamo dimenticato. Per questa misura, ho provato a recuperare a livello nazionale più risorse possibile. Ma ora è a disposizione di tutte le realtà che vorranno condividere questo nuovo paradigma, l’Agenzia per la Coesione Territoriale è già impegnata ad attuarla e le Regioni potranno concorrere aumentando le risorse. Ho voluto inserire la misura, infatti, tra le linee guide per la riprogrammazione dei fondi che è in corso. Serve la consapevolezza che stiamo parlando anche di aiutare l’occupazione nel Terzo settore, che con il decreto Rilancio può beneficiare degli aiuti previsti per le imprese.
Crede o aupsica che questo cambio di paradigma possa in futuro essere esteso ad altri contesti e provvedimenti al di fuori dell’emergenza covid e al di là delle sue deleghe?
Anzitutto, il mio obiettivo è sancire questi principi nel ciclo di programmazione 2021-2027, perché le politiche di coesione in Italia, non solo al Sud, hanno un ruolo importante che va salvaguardato soprattutto in questo momento. Ogni contrapposizione tra il riequilibrio e lo sviluppo, tra l’equità e la crescita, non solo è ingiusta, ma è il principale errore da non ripetere, rispetto alla crisi precedente. Ma l’ambizione della politica di coesione territoriale è proprio quello di anticipare e innovare le politiche pubbliche, negli ambiti in cui c’è bisogno di dare un forte segnale culturale e far maturare una sensibilità diffusa. Col Terzo settore al Sud, e nei contesti territoriali più marginalizzati, dobbiamo provare a fare proprio questo.
L’ex ministro Giovanna Melandri e la presidente di Banca Etica Anna Fasano dalle colonne di Vita hanno proposto di destinare almeno parte delle risorse per il rilancio del Paese attraverso meccanismi di misurazione di impatto sociale e ambientale, in modo da premiare quei soggetti anche economici attenti alla sostenibilità del loro agire e promuove un modello di sviluppo più equo e green. Può essere una strada da percorrere?
Ho in agenda un incontro con Giovanna Melandri, per approfondire un’idea innovativa che dovremmo assumere come metodo nella spesa dei fondi di coesione. Del resto, nel Piano Sud 2030, abbiamo già assunto per il Sud il percorso di una politica di sviluppo innovativa, con due direttrici principali per gli investimenti: sostenibilità e digitale. La sostenibilità non è solo una questione ecologica, ma investe tutte le dimensioni dello sviluppo in senso trasversale: per questo, nel Piano abbiamo misurato l’impatto delle “missioni” della coesione sulla base degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Una scelta che oggi è ancora più attuale e urgente, per tutto il Paese e per l’Europa.
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