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Luciano Monti (Luiss): «Un piano Marshall per i giovani del Sud»

Il punto di vista del docente universitario e condirettore scientifico della Fondazione Bruno Visentini: «Subito un patto per il lavoro, altrimenti rischiamo di perdere due generazioni, trentenni e ventenni di oggi, i millennials»


di Fabrizia Flavia Sernia

Subito un patto per l’occupazione giovanile, un piano Marshall per i giovani con un focus sul Mezzogiorno, altrimenti «rischiamo di perdere due generazioni». I giovani di oggi non possono più attendere. Basta parlare di “Next generation”, pensando alle generazioni future. Le nostre generazioni future sono i trentenni e i ventenni di oggi, i millennials, è a loro che bisogna rivolgere le azioni. Sono loro i nostri “pionieri del futuro”. E al Sud possono esserlo in modo ancor più innovativo che nel resto d’Italia.

Luciano Monti, professore di Politiche dell’Unione europea all’Università Luiss e Condirettore scientifico della Fondazione Bruno Visentini, da anni concentra i suoi studi sulla valorizzazione del capitale umano, le politiche giovanili e il divario Nord-Sud. Sull’allarme dei dati Istat relativi all’occupazione nel primo trimestre, che rivelano un calo di 101 mila occupati nel periodo gennaio-marzo, sul totale di 23 milioni 236 mila lavoratori, più accentuato nel Mezzogiorno (-0,6%), rispetto al Nord (- 0,4%) e al Centro (- 0,2%), commenta: «Come sempre nelle crisi, si conferma che è il Sud, ancora una volta, a pagare il prezzo più alto. Ora – dice Monti – nel dopo Covid-19 bisogna abbandonare l’atteggiamento un po’ paternalistico verso i giovani, che dal 2008 caratterizza tutti i piani per la ripresa, sia a livello europeo che in Italia».

A cosa si riferisce? Il recente Piano Next Generation UE, da 750 miliardi di euro, i piani fatti dai governi Conte 1 e Conte 2, così come i piani dei passati governi Monti e Gentiloni, sono tutti piani che non mettono al centro i giovani, mancano di una visione sistematica, organizzata sulla scelta degli strumenti necessari per consentire ai giovani, che hanno fame di lavoro, di entrare nella vita adulta. Anche il Rapporto Colao accenna alla problematica giovanile, ma la lascia sullo sfondo. Affronta i macro problemi, ma nel dettaglio non ci sono le misure.

Ad esempio? Ad esempio, per potenziare la capacità di inclusione del sistema di istruzione superiore, in contrasto alle disuguaglianze di classe, di genere e territoriali, al punto 81 suggerisce un “programma di orientamento sostenibile che concili le aspettative dei giovani del futuro con le trasformazioni del sistema socioeconomico”. L’orientamento è importante, ma qui mancano i posti di lavoro. Se non si investe sulle nuove competenze, se non si fanno dei canali preferenziali per i giovani, il lavoro per loro non ci sarà. Dal 2008 tutti i piani hanno gli stessi vizi di fondo.

Quali? I giovani sono sempre visti come parte di un problema più grande da risolvere e le misure sono scollegate fra loro. Al contrario, si dovrebbero costruire i piani attorno ai giovani. Nel Rapporto Colao come nel Recovery Fund della Presidente Ursula von der Leyen c’è l’intento di intervenire, secondo l’Agenda 2030, per preservare le generazioni future, ma il punto è che qui ci stiamo perdendo almeno due generazioni: gli ultratrentenni, che non riescono a uscire dalla giovinezza, e le zero generation, che stanno vivendo lo shock del Covid-19.

Come evitare questo rischio? Fra i 17 goal dell’Agenda ONU che ispirano i vari piani, il goal 8.b – sviluppare e rendere operativa entro il 2020 una strategia globale per l’occupazione giovanile e implementare il Patto Globale per l’Occupazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro – deve essere il goal centrale per il nostro paese. Siamo già a metà 2020 e ancora non si è cominciato a parlarne. È proprio perché c’è l’emergenza da Covid-19 che questo obbiettivo dovrebbe essere invece già in cima all’agenda del Governo e delle parti sociali.

Come spingere sul Sud? Con un patto per l’occupazione, un piano Marshall per i giovani, con una forte focalizzazione sul tema del lavoro e una forte attenzione al Mezzogiorno. Se non si colma il gap infrastrutturale materiale e immateriale che separa il Nord dal Sud, l’occupazione nelle regioni meridionali non si creerà. Occorre agire subito per mettere veramente in rete il Sud e connetterlo con l’Europa, per evitare che paghi il prezzo maggiore della crisi da Covid-19.

La digitalizzazione sarà un volano per l’occupazione? Non c’è dubbio. Si potranno ridurre quelle distanze fra il Mezzogiorno e il mondo che prima della pandemia relegavano tante attività lavorative al Nord. Muovendoci verso un’esigenza trasformativa, dove molti di noi alterneranno l’attività in presenza all’attività in smart working, è necessario che si creino tutte quelle piattaforme capaci di mettere in grado le persone di scegliere di lavorare al Sud, dove si può coniugare l’attività lavorativa con una vita in luoghi belli, lontani dallo stress urbano, dove è anche più facile il distanziamento sociale. Viviamo immersi in un patrimonio di bellezze artistiche e naturali incommensurabili, e le professioni basate sulla creatività, che sono il futuro, come uno studio di due ricercatori di Oxford ha dimostrato, specie al Sud potranno trarre linfa vitale, anche nel rilancio dei borghi sul territorio.

Se da oggi iniziasse una nuova era per il Sud, quale dovrebbe essere la prima azione? Rivoltare il paese come un calzino, ripensando l’economia, in un’esigenza trasformativa per i giovani, avviando subito il piano per l’occupazione. Grazie alla digitalizzazione, il Sud da domani potrebbe essere al centro del mondo, che nel 2020 è cambiato. Facciamo in modo che i nostri giovani siano pionieri del futuro, mettiamoli in condizione di lavorare al Mezzogiorno, premiando chi vi fa ritorno per la rinascita.

Fonte

Redazione

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