La nuova sfida dei sistemi formativi
di Luca Sciarretta
L’emergere di un nuovo paradigma produttivo, dettato dalla quarta rivoluzione industriale in atto, sta imponendo un ripensamento profondo e radicale dell’attività lavorativa. Il principale vettore di innovazione ruota attorno all’affermarsi di nuove “tecnologie abilitanti” che fanno dell’interconnessione e della collaborazione tra sistemi il fulcro delle nuove attività produttive a livello globale. Tale trasformazione si riflette ovviamente sui sistemi formativi per la qualificazione e riqualificazione della forza lavoro.
I cambiamenti costanti che avvengono nel mercato pongono le imprese nella posizione di dover rispondere, con tempi sempre più ristretti, alla richiesta di nuovi prodotti. Ai sistemi formativi si richiede quindi una sempre maggiore capacità di sviluppo adattivo e di prefigurazione delle esigenze, in termini di competenze, che le nuove “smart factory” esprimeranno nel medio-lungo periodo.
La minimizzazione del mismatch tra domanda e offerta di lavoro rappresenta la principale sfida dei sistemi formativi. Nel nostro paese, secondo uno studio effettuato da Confindustria (1), nel triennio 2019-2021 si apriranno circa 200mila posti di lavoro in 6 settori chiave del Made in Italy – meccanica, ICT, moda, chimica, alimentare e legno-arredo – ma in un caso su tre non saranno occupati per la scarsità dell’offerta formativa inerente quelle competenze tecnico-scientifiche utili e necessarie a ricoprire il ruolo lavorativo vacante. Il mancato collegamento tra la domanda delle imprese e l’offerta formativa risulta essere una delle cause strutturali della debolezza del nostro capitale umano e quindi della nostra economia nel complesso.
Bisogna inoltre tenere conto che, sempre secondo lo studio di Confindustria, il 70% dei giovani dopo il diploma o la laurea lavoreranno in una impresa manifatturiera o di servizi per il manifatturiero che, circa in un caso su cinque, faticherà a trovare giovani da impiegare per mancanza di una adeguata formazione. Ci troviamo difronte a un vero e proprio paradosso se pensiamo che, secondo i dati OCSE 2019, l’Italia registra la terza quota più elevata di NEET tra i 25-29enni con un livello d’istruzione terziaria che si attesta al 23% rispetto alla media OCSE dell’11%, dopo la Grecia e la Turchia (2).
Note:
(1): Elaborazioni dell’Area Lavoro, Welfare e Capitale Umano di Confindustria sulla base di dati Istat e Unioncamere
(2): ECD (2019), Education at a Glance Database, http://stats.oecd.org
– Fonte
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