Il Terzo Settore è oramai un soggetto politico. Con esso bisogna fare i conti. Nel giro di consultazioni il neo Presidente Draghi ha convocato le “parti sociali” secondo una consuetudine formale e attingendo da un elenco obsoleto. Per le più alte istituzioni dello Stato il Terzo Settore è ancora considerato minoritario, incorniciato nel vecchio ruolo di agente della beneficenza, soprattutto da parte di chi ha una concezione liberal-capitalista della società piuttosto che partecipazionista- popolare. Al massimo gli si concede il ruolo di co-progettazione e co-proprammazione a livello locale, secondo una visione riduttivamente tecnicistico-burocratica. Una concezione liberale condivisa anche dall’attuale sinistra riformista, sempre più distante dall’attivismo popolare, quello, per intenderci, delle basi disseminate sul territorio e presenti nei quartieri che garantivano un consenso sentito e partecipato, linfa vitale per chi decideva da Roma le sorti del paese. Il Presidente Mattarella non ha mancato di citare e valorizzare questa “Terza Forza” nei suoi discorsi ma è rimasto inascoltato dalla casta. Il Terzo settore è radicato nei territori, similmente ai partiti degli anni cinquanta, è capace di interpretare le esigenze e le debolezze del popolo ed é quindi il suo più fedele interprete e rappresentante. É quindi un soggetto politico nell’accezione più alta del termine.
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